venerdì 18 aprile 2008

Esercizio Uno: Binomio Fantastico, Ginnastica Fantastica ( Grazie Heather! )


Ho cominciato il corso della scuola Holden, quello edito con "Repubblica" sulla scrittura. Così pensavo fosse carino metterci ogni tanto qualche esercizio... il primo ad esempio, è scrivere un breve racconto di due cartelle, con due parole estratte a caso dal vocabolario. Mi sono uscite "Raucedine" e "Destrosio". si sente poco poco l'influenza dell'ultimo libro che sto leggendo ( "Meno di Zero", di Bret Easton Ellis, oramai mio autore preferito) e molto pesantemente gli eventi di questi 5 giorni... in ogni caso, a voi il giudizio...

"-Ancora?-

Osservo la mano sospesa a mezz'aria. Non voglio dimenticare i consigli di Serena, la mia fitness trainer.

Ma non voglio nemmeno offendere quell'anima malata che mi ritrovo davanti.

In ogni caso, non attende una risposta.

Due cucchiai di destrosio cadono nel caffè nero.

Venti minuti in più di spinning domani a lezione.

- Ed insomma,mi raccontavi di quella ragazza...-

- Ascolta, Gianna..-

Lei si blocca.

Mi guarda, nascondendo in malomodo l'offesa.

Afferra il vassoio e la sento che si trascina in cucina. Perché diavolo deve cercare di essere sempre così perfetta? Nascondo in malomodo il mio senso di colpa, ma mi faccio subito fregare al suo primo colpo di tosse.

- E la tua raucedine...- non concludo la frase, ma il suo modo di appoggiare la zuccheriera è leggero. Segno di pace.

- Lo sai, oramai è costante. Ma non preoccuparti per me, sai bene che sono forte.- mi risponde, tossendo ancora un poco. Continuo a chiedermi chi cazzo abbia inventato il Natale.

Charlie, il vecchio cocker, alza l'orecchio al mio fischio, per darmi poi la schiena, e tornare a dormire. Fuori la pioggia sta sciogliendo la scarsa neve di quest'anno.

- Mi dicevi, questa Serena...- mi rimanda, dalla soglia della cucina. Sa benissimo come ora mi senta in debito nei suoi confronti. Sento pulsare quei quattro biglietti nelle tasche, come un cuore proprio, da cui passa il suo sangue.

- Era solo un gioco, e lo sai. Una sfida per far vedere che non sono meno di... meno di loro.-

- Meno di loro?-

La sua non è una domanda. È una di quelle affermazioni così violente, che sento il mio cuore accelerare, ed il desiderio di schiacciarle la testa sul pavimento, di far leccare sangue e materia cerebrale a Charlie è enorme.

- No mamma, meno di loro. Lo sai che non sarò mai come loro. Come te e papà.-

- Te lo auguro, di non essere come lui. Ma in fondo, l'altro giorno al TG non sembravi come lui. Povera anima, non mi avrebbe difesa nemmeno da un pulcino.-

Faccio per abbozzare uno di quei commenti difensivi, ma mi arrendo.

In ogni caso, Gianna spera che Serena possa essere la mia ragazza.

Afferra nuovamente la zuccheriera, non ascolta nemmeno, o meglio, non mi ascolterebbe, se mai dovessi parlare. Ma non lo faccio, perché tanto la sua testa non è più quella di una volta.

O forse, è sempre stata così, e la giustizia data dall'età è solo la miseria di chi ancora non ha ammesso i suoi limiti. Altro destrosio finisce nella tazza e sul piattino, mentre tossisce. Spero solo che non sia finito nessun germe dentro la brodaglia nerastra.

Nell'altra stanza, la musica di Paolo mi rassicura. Ho sempre odiato Vasco, ma in quel momento è l'unica voce umanamente accettabile.

- Ed insomma, alla fine lo zio c'è cascato nuovamente?-

- Come al solito. Insomma, questa Serena...-

Tolgo una foto dalla tasca. È di quando ero piccolo.

Siamo Paolo ed io al mare, e lui ha i capelli biondissimi, e si vede anche un pezzo del suo due pezzi alle spalle nostre, le braccia sui fianchi, imperiale come sempre è stata.

- Non siamo più questo, ok? Non siamo più questo. Tra due mesi andrò con Michele a Rotterdam.

Vorrei veniste anche voi...-

Sistemando la sua gonna di finto raso, tira fuori un altro dei suoi sorrisi da repertorio.

Noto che le è caduto un altro dente.

Un canino.

- Ma amore,lo sai che non potrebbe essere diversamente..

Sorrido, restando al gioco, ma sono felice nell'aver confermata la loro assenza.

E per sbaglio mi viene un profumo in mente. Zucchero a velo.

Un giorno andammo alla fiera di Celadina, e faceva freddo, e lei comprò una cassetta degli 883 e poi mi regalò dei pesci rossi e dello zucchero a velo, mentre Paolo era troppo piccolo e lo tenne per tutto il tempo in braccio. Ad un certo punto, una bambina grassa e piena di brufoli mi finì contro, buttandomi a terra assieme allo zucchero, metà sul selciato, metà sul mio viso.

Mia madre mi sollevò, senza una parola, e tornammo a casa.

Una volta chiusa la porta, afferrandomi il braccio, mi chiuse in camera.

Ci rimasi tutta la sera. Quando le chiesi il perché, non rispose. Non era da lei, dare spiegazioni.

Afferra un'altra volta il coccio, chiedendomi: -Zucchero?-

Due nuvole di saccarosio evitano la mistura fredda, spargendosi sul tavolino. Cerco di pulire, ma lei mi anticipa con un tovagliolino sporco.

Mi alzo, mentre comincia a tossire, borbottando qualcosa sulla sua maledetta raucedine.

Non credo sia mai stata realmente malata.

- Ciao Gianna.- le dico, sbattendo il portoncino.

Mentre passo, evito lo sguardo di mio padre.

Una guerra persa per oggi è stata più che sufficiente."

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