lunedì 12 gennaio 2009

Vergogna

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Da quando ho cominciato? Da quando ho imparato a voltarmi avanti, a non guardare?

Un mese, un anno fa? Quattro?

Oggi un fantasma mi insegue, o il fantasma di un fantasma.

Un ragazzo di colore alla fermata del bus, riverso a terra sulle sue borsette, alla ricerca di una protezione dal vento dietro i bidoni dello sporco, probabilmente.

Non un passo lui, quando il bus gli ha quasi schiacciato il piede, non uno io, per aiutarlo.

A diritto, come gli altri, a fare la spesa... al ritorno ho allungato la strada, per ripassare da li, e non c’era più nessuno, nemmeno un segno della sua presenza.

Non credo si sia trattato di un intervento ufficiale, non ne bastava il tempo. Probabilmente ha fatto da solo. O forse qualcuno è stato capace di uscire dalla massa e svegliarlo, dirgli di non preoccuparsi..

Da quando sono così “massa”?

Lui è ancora li, nella mia testa, ad indicarmi la mia mostruosità.

Così bravo a ipotizzare e criticare e condannare, e poi..

E poi.


E poi, se un giorno, capitasse a me?

sabato 13 dicembre 2008

Banca del Seme


La sentite la musica?

Sembra sia tornata solo per ricordarci quanto siamo vuoti.

Oggi è un giorno grigio grigio, i miei capelli rossi rossi, le mie dita pure, e non credo ci sarà un nuovo Gesù per la fine della serata a salvarmi da questa vita noiosa.

Sono piuttosto innervosito.

Hanno detto che tutto finirà. Che si è trattato di pochi battiti di vanagloria nella storia di questo continente, che ora torneremo al neolitico postindustriale.

E mentre pecore bicolori si ammazzano per aggiudicarsi un pezzo di nulla verdastro, qualcuno suggerisce idee interessanti.

Non riderò quando accadrà, ma ora la cosa mi diverte. Forse falliremo, forse finiremo come l’Argentina, e tutte le nostre politiche antimigratorie si rivolteranno contro di noi.

Difficilmente ci sarà una nuova Piazza Loreto per i colpevoli di tutto questo.

In caso contrario, spero mi chiamerete, ho un paio di sputi di riserva, annata 1994.


Le mie ansie apocalittiche mi fanno temere un remake del ‘900, o per lo meno della prima metà.

Su una cosa Berlusconi ha ragione: la sinistra pensa negativamente.

È vero anche che il detto “Un pessimista è un’ottimista ben informato” si adatta perfettamente al target culturale degli ottimisti che alimentano abbondantemente il flusso dei suoi voti.

In ogni caso, in piena crisi delle politiche liberali e del capitalismo spinto, dove sono finiti i comunisti, i socialisti, i verdi?

Quali alternative hanno proposto?


Loro, nessuna.


Mi rendo conto di non aver mai fatto post molto allegri.

Ora però è il momento di recuperare. Ho sbagliato, rimanendo accecato da una rabbia che indirizzava, indirizza ancora il mio sguardo verso un unico centro, negandomi lo spettacolo della periferia. Assistendo ai duelli tra defilippiani e venturiani, tra fan di Bonolis o di Scotti, non vedevo le formichine che alle mie spalle stavano immaginando un futuro.

Un mondo diverso, sostenibile ed ecosostenibile, dove la realizzazione personale non passa dall’ultimo acquisto ma dalla riduzione del proprio stress, dal buon vivere. Gente che sogna meno auto, meno smog, meno sprechi. Che accetta di avere un ipod in meno in cambio di maggiore salute fisica e psicologica.

Gente che non cerca la piscina in casa, la climatizzazione selvaggia, l’asciugatrice e la lavastoviglie. Che pensa eco, bio, equosolidale.

Gente che va piano. Che apprezza la lentezza, che mangia slow, che grida “Decrescita!”.

Che acquista locale, che pensa cooperativo, che interviene nella propria vita con senso responsabile.


Utopico? Non credo proprio.

Le banche hanno giocato con l’irreale, e hanno (teoricamente) pagato. Utopico è credere che il mercato possa regolarsi da solo, che la corruzione non esista, che muovere soldi virtuali non influenzi l’economia reale, che troveremo comunque il modo di liberarci dei rifiuti, che il nucleare sia l’unica soluzione, che finito il petrolio troveremo altro, che l’acqua non finirà, che ingegno e tecnologia ci salveranno, perché siamo infallibili.

NO!

Non lo siamo. Sbagliamo, stiamo sbagliando. Stanno sbagliando.

Non sbagliano solo i nostri governi manovrati dalla Confindustria di turno. Anche, e sopratutto, le sinistre che non si accorgono di tutto questo, e che non sanno più offrire alternative allo stato attuale. Che non sanno proporre un nuovo ordine, perché troppo abituate a gestire il loro ruolo di “opposto da”. È il caso di svegliarsi. Qualsiasi cosa accadrà ora, qualsiasi estremismo di destra dovesse affermarsi, qualsiasi ideologia malata dal passato possa riemergere... nessuno potrà definirsi innocente. Tutta questa assenza l’avrà alimentato, ispirato, gonfiato.

Svegliatevi uccellini, svegliatevi!

martedì 25 novembre 2008

Ministre e Puttane (Vita di Europa Platino)



È vero, sono in ritardo. Come spesso accade nella mia vita. Tardi ho fatto sesso, tardi mi sono avvicinato alla politica. E nemmeno ora ho idea di come poter vivere decentemente.
Per cui, aver visto solo stasera “Go Go Tales” di Abel Ferrara può essere considerata una mancanza tutto sommato perdonabile.
Non vedrò mai altro di questo regista, è una promessa, un voto. Il film è bruttissimo, vuoto, scontato, banale e terribilmente reale.
È un discreto dipinto della nostra italina, italietta, itagliaccia.
Questa nazione è una vecchia puttana con il cancro.
Abbiamo i ministri di belle speranze e cattive realizzazioni: l’eternamente oscena Asia Argento, l’eternamente debuttante Stefania Rocca, l’eternamente “sperdinonvederlaancoramaeccolacazzo” Justine Matera, l’eternamente incapace Scamarcio.
Il quartetto delle cattive speranze è così dannatamente associabile all’oscena soubrette del pompino di fronte, la cara (la cifra esatta bisogna chiederla al Cavaliere) Carfagna; al debuttante da nobel prepensionabile per la nostra salvezza Brunetta, all’abbattibile cinghialessa Gelmini, all’incapace (ed economicamente ambiguo, “L’Espresso”docet) Tremonti.
Il film ha lo stesso ritmo del battito cardiaco di questa nazione, ma cos’altro si poteva pretendere? Cadaveri siamo, cadaveri recitiamo.
E così “l’eminenza grigia”è un vecchio sbadato, il premier un buffone senza nemmeno una goccia di stile, che trascina una manica di idioti nella speranza che un dio in pensione ci faccia il favore di salvarci. L’uomo è tendenzialmente caprone, la donna certamente troia. Un’immagine idilliaca.
Forse qualcuno sta attendendo l’arrivo della mano che troverà lo smarrito biglietto vincente, quello che spalmerà i nostri debiti con la stessa efficacia con cui Berlusconi ha spalmato i suoi processi, senza nemmeno l’intervento dell’affittuaria veltronesca, capace di vociare tre minuti, ma di congratularsi rapidamente davanti ad un successo di cui l’altro nemmeno ne è responsabile.
Sempre che l’unzione datagli da Baget Bozzo non fosse fautrice di qualche miracoloso effetto.
Di sicuro, la nostra sommessa controparte in largo vestito ed occhiali alla Mondaini ha imparato bene dalla cara vicina di camera, anzi, di bicamerale d’Alema.
Se oggi qualcuno venisse a reclamare il locale, alla fine concederebbe ampia soddisfazione ai fascisti di turno. Il revisionismo è sulle bocche di ogni mafioso dellutriano della situazione.
E nessuno saprebbe offrire un’alternativa.
E quando qualcuno estrarrà il biglietto vincente, scaduto o consunto o bagnato sarà: illeggibile, nessuna rianimazione ci salverà.
Bentornati.

Ps: Sono un fan di LaChapelle, non abbiatene a male per l'accostamento con i soggetti miseri di questo post.

sabato 6 settembre 2008

Post-it

Sono ancora vivo, per la cronaca.. seppure senza internet... nel mentre grosse comete sfrecciano nel mio cielo, si schiantano contro la parete di camera e non mi permettono di capire dove debba girare la testa. in ogni caso ci sono. almeno con il corpo.

martedì 19 agosto 2008

Tra scelta e dovere



Ci sono un sacco di domande che fino a pochi giorni fa non mi sarei mai posto.
Davo per scontato che l'accettare di essere gay passasse solo dal riconoscere che mi piace il cazzo, e non la pota, ma dando per scontate le dinamiche di coppia, adattandole semplicemente a quello dello schema eterosessuale.
Ho criticato le dive che pensano solo al bel vestire, ma dimenticando che ragazze e ragazzi della “giusta sponda” non fanno altro... no, non è così.
Non siamo gli etero. Ci siamo tagliati le palle adattandoci a loro, rendendoci parte attiva nella nostra sottomissione economica, trasformandoci in vittime consapevoli, diventando solo un gruppo con un enorme potere commerciale ed un target prevedibile per ogni azienda.
L'unico gruppo che poteva realmente portar avanti un progetto socilae si è venduto anima e corpo, soprattutto corpo, al mostro capitalista... emarginando l'emarginato.
Quanti gay non fashion troviamo in un locale? Quanti omosessuali su una sedia a rotelle abbiamo conosciuto? Magrebini, siriani, zingari? Ci dividiamo tra locali gay, e lesbo, Leather ed orsi, Ireos, Arci ed Associazione Gay e Lesbica. Emarginiamo l'emarginato, ci vergogniamo di noi stessi, vogliamo essere l'Altro, senza cercare una nostra identità, senza comprendere quanto sia frustrato l'Altro, con la sua autorepressione sessuale.
Ci freghiamo con le nostre mani: i nostri locali vivono per il sesso che non sappiamo esprimere, Dark e saune richiedono tesseramenti che certificano a pagamento la nostra froceria, soldi girano e girano ma non per emanciparci, per capire chi siamo, per aiutare chi non riesce a sentirsi, non si può fare, non si vuole fare. Perché se i locali investissero parte dei soldi in attività sociali, perderebbero la loro clientela. Vivono di chi il sesso non sa vivere, di chi non si accetta, di chi si smercia, di chi non vuole riconoscere la propria anima. Educare la gente al viversi sarebbe come se il mio macellaio di fiducia mi obbligasse ad una dieta macrobiotica.
E noi? Noi cosa facciamo? Restiamo a guardare. Ci lamentiamo.
Decidiamo di non farci vedere in giro che è sconveniente.
Di non tenerci per mano in pubblico, di non baciarci, toccarci, amarci, parlarne, sperarne.
Ma non possiamo decidere.
DOBBIAMO farlo. Per chi non riesce, per chi non capisce, per chi non si ama, per chi ha davvero paura.
È nostro dovere capirci e farci accettare, far pensare, fare scandalo, fare notizia, fare riflettere.
Fino a quando resteremo qui, silenziosi, a vivere le nostre vite di nascosto, saremo nella mano che ci accoltella, che ci strozza, che ci uccide ogni giorno in qualche punto di questo mondo represso.

lunedì 28 luglio 2008



Probabilmente sarà un post banale, noioso, scontato.
La mia esperienza bergamasca sta per concludersi, muovendosi lungo un unico filo conduttore: la paura.
Non la mia, per una volta, ma quella di chi ancora vive qui.
Tutti hanno paura del Grande Mostro, del Grande Ignoto, dell' Altro.
La gente teme l'Altro in ogni sua forma.
Alle elezioni pensavo che la vittoria della Lega in queste zone fosse legata all'idea del Federalismo.
Avevo lasciato una comunità sempre più ricca, sempre più materialista alle mie spalle.
Una richiesta di autonomia economica mi sembrava anche comprensibile.
Dopo 4 anni la gente è regredita ad uno stato di beligeranza costante contro il diverso da se.
Ovunque sono stato in questi 8 giorni, a casa, dai nonni, al ristorante, dai vicini, tutto è stato uno sparare a salve sull'immigrato.
Quel voto è stato dato contro il diverso da se.
Ogni reato che è stato commesso, o, peggio, potenzialmente commesso ( la guerra preventiva di Bush fa scuola ) ha sempre l'impronta di un immigrato.
E se anche fosse vero, se la rapina al piccolo ristorante fosse stata commessa da due stranieri, non sono stati Tizio e Caio, oppure, “dei marocchini”.
Per tutta la settimana sono stati “I marocchini”.
Come se dietro le mani di quelle due e tre persone che hanno commesso il crimine ci fossero le braccia di un intero popolo.
Come se, per il crimine di mio zio in Romania, tutti noi italiani fossimo colpevoli.
Logicamente , in tal caso, si parla sempre di due pesi e due misure.

Mi sono sentito chiedere quanti crimini succedano nella mia Firenze.
Se non ho paura ad uscirci la sera.
Se non odio essere fermato ogni due secondi dai nerini che vendono calzette ed accendini.
Se non mi infastidiscono i Rom con il loro modo di fare.
Non posso rispondere, sarò codardo, ma non capirebbero.
Non hanno conosciuto quel ragazzo senegalese che mi ha aiutato con le sporte della spesa, quella zingara che mi ha chiesto informazioni dandomi del lei, quel camerunense che con fare tranquillo mi ha chiesto, in un momento di tristezza, se stessi male per colpa del mio ragazzo.
Una frase che non sentirò mai nemmeno dai miei genitori.

Non vogliamo ammettere le nostre colpe in una crisi economica, la responsabilità dei nostri silenzi nella mala politica, le nostre furberie quotidiane, lo stato di abbandono in cui la generazione che ora comanda ha lasciato noi giovani. Almeno una volta di diceva “ Governo ladro!”.
Ora tutto va male, ed è colpa di Muhamed.

La Lombardia sta raggiungendo un record poco piacevole, quello delle persone sole.
Si parla del 23% della popolazione regionale sopra i 65, e di più della metà,abbandaonata a se stessa.
Potremmo rivolgere un saluto, una mattina, ed avere per noi tutto un mondo che non vedremo mai.
Ma , come sempre, prenderemo la nostra strada per il parco, ed, ad occhi chiusi, pensermo a tutto quello che è stato nel nostro passato.

sabato 26 luglio 2008

Ashes and Wine

Qualcosa avrò pur fatto, no?

Mi guardo allo specchio, e passo le dita sulla pelle, un poco più secca.

Osservo le pieghe attorno alla bocca, pensando a quelle di mio nonno.

Gli occhi arrossati da un'altra notte insonne.

Lo sguardo che non riconosco.

Di cosa ho paura?

Quali ombre alle mie spalle? Ne vedo le lunghe dita afferrarmi, portarmi dietro il muro, in un mondo di attese.

Il cemento, l'intonaco affondano nei polmoni, nelle pupille corre l'acqua stantia, sui piedi blatte, vive e morte, mi indicano lo scorrere del mondo, anche senza me.

Statico mi chiedo, cosa ne ho fatto di tutto questo tempo, di questi anni, di un'anima imprigionata...

Da uno a dieci, quanto sono morto?


Ho mai considerato possibile delegare tutta la mia felicità all'amore?

Ma in tutto questo vuoto, c'è spazio giusto per una cosa...

Per un ballo triste, le mie braccia attorno al fantasma di ciò che ero.

E l'ultimo passo è stato il primo.



sabato 19 luglio 2008

Self Evident


Questo insieme lunghissimo di parole, è una poesia tradotta in italiano della mia sempre più amata Ani DiFranco...

"Sì, noi tutti siamo solo poesie
al 90% metafore
con una povertà di senso
che si avvicina all'iperdistillazione
eppure c'è stato un tempo in cui eravamo raggi di luna
e scivolavamo giù per il collo di una giraffa
sì, scivolavamo per quel lungo corridoio
nonostante quello che dice l'impianto voce
sì, scivolavamo per quelle lunghe scale
con il whiskey dell'eternità fermentato e distillato per diciotto minuti
che ci bruciava in gola
giù per il corridoio
giù per le scale
di un edificio così alto che resterà lì per sempre
sì fa parte di una coppia
là sulla prua dell'arca di Noè
la coppia più prestigiosa che si rimandava la palla
contro un cielo perfettamente azzurro
in quel mattino sublime
con la sua bellezza da estate indiana
il giorno in cui l'America cadde in ginocchio
dopo aver camminato impettita per un secolo
senza mai dire grazie o per favore

e lo shock fu subsonico
e il fumo assordante
perché eravamo tutti al lavoro in orario quel giorno
e tutti ci siamo imbarcati su quel volo
e poi mentre le fiamme infuriavano
ci siamo tutti arrampicati sul davanzale
e poi ci siamo presi per mano,
tutti e ci siamo lanciati nel cielo
e ogni distretto ha alzato gli occhi
quando ha sentito il primo scoppio
e ogni stupido film d'azione di colpo è sembrato superato
e quell'esodo di persone e automobili
assomigliava alla guerra
più di ogni altra cosa che abbia visto finora
finora, per ora

così fiero e ingegnoso
un fantasma poetico riapparso dopo due secoli
che ogni commentatore idiota si trovò a balbettare
"oh mio dio" e "è incredibile"
nient'altro per ore e ore
e voglio dirvi una cosa, già che ci siamo:
potete tenervi il Pentagono
tenervi la propaganda
tenervi ogni singola televisione
che ha tentato di convincermi
ad aderire al piano di qualche liceale fanatico
per orchestrare la ritorsione
proprio mentre il fumo bluastro e tossico
del nostro esempio di ritorsione
sta ancora ammorbando l'aria
e abbiamo cenere sulle scarpe
e cenere nei capelli
un mantello di sottile di limo
da Hell's Kitchen a Brooklyn
e le strade sono piene di storie
di svolte impreviste e ritardi provvidenziali
e ogni bar aperto
si riempie fino al soffitto di leggende di disastri evitati per un soffio
e il whiskey scorre come mai era successo
mentre in tutto il paese la gente scuote la testa e si versa da bere.

E allora facciamo un brindisi
a tutti quelli che vivono in Palestina
Afghanistan Iraq El Salvador
un brindisi a tutti quelli che vivono nella riserva di Pine Ridge
sotto lo sguardo gelido e pietrificato
del Mont Rushmore
un brindisi a tutti quei medici
e quelle infermiere
che ogni giorno permettono alle donne di scegliere
che affrontano una minaccia grande come Oklahoma City
solo per ascoltare la voce di una ragazza
un brindisi a tutti i condannati a morte
che in questo momento aspettano la loro ghigliottina
soffocati dal terrore
e possono fuggire solo in se stessi
per trovare la pace in forma di sogno

perché portateci via le nostre playstation
e siamo una nazione da terzo mondo
dominata da una specie di erede blasonato
che ha usurpato lo studio ovale
e quelle elezioni fasulle
voglio dire,
che non ci vuole certo un metereologo
per guardare fuori che tempo fa
Jeb aveva detto che avrebbe consegnato la Florida, gente,
e altroché se ci è riuscito
e queste sono le nostre verità lampanti
1. George Bush non è presidente
2. l'America non è una vera democrazia
3. i media non mi prendono in giro
perché io sono una poesia
attenta all'iperdistillazione
non ho posto per una bugia così prolissa
abbraccio con uno sguardo
tutta la mia famiglia di esseri umani
e sollevo il bicchiere in un brindisi
che sia il nostro ultimo sorso
di carburanti fossili
giuriamo di farla finita con questo veleno
di disperdere gli sciami di aerei pendolari
e ritrovare quel biglietto del treno
che avevamo perduto
perché c'è stato un tempo in cui la ferrovia costeggiava il fiume
e curiosava in tutti i cortili
e c'era il bucato steso
e graffiti che ammicavano da ponti e muri di mattoni
giravamo tra montagne e vallate
sotto le stelle
io sogno di viaggiare come Duke Ellington
nella mia carrozza privata
sogno di aspettare
sulle alte panchine di legno biondo
in una stazione centrale inondata di grazia
e poi in piedi sul binario
sentire l'aria sul viso
restituire alla notte il suo fischio lontano
restituire alle tenebre l'anima
mandare affanculo una volta per tutte le grandi compagnie petrolifere
e imparare da capo il rock'n'roll

sì, gli esempi ci circondano
e ci aspetta un cambiamento
e dunque è ora di esaminare le macerie
ripulire le strade e rinfrescare l'aria
cosringere il governo
a tirar fuori il suo grosso uccello dalla sabbia del deserto di qualcun altro
rinfilarselo nei pantaloni
e farla finita con gli slogan ipocriti di libertà duratura
perché quando quell'unico telefono ha chiamato
nel 2001 alle nove e dieci il 911
che è il numero che tutti abbiamo chiamato quando quell'unico telefono ha squillato
dietro la parete dalla nostra scrivania
fino al corridoio
lungo le scale interminabili
di un edificio così alto
che il mondo intero si è voltato
solo per vederlo cadere.

E già che ci siamo vi ricordate la prima volta?
la bomba? il camion?
il parcheggio sotterraneo?
la principessa che non si era neppure accorta del pisello?
vi ricordate come ci scherzavamo sopra?
riuscite ad immaginare quanti bicchieri di carta dovrebbero cambiare decorazione
inseguendo l'incredibile cambiamento dello skyline di New York?
era solo uno scherzo, naturalmente
solo uno scherzo
ed è successo solo pochi anni fa
e allora che l'inchiesta dimostri
che l'FBI era coinvolta nel caso
che la trama era evidente e sotto gli occhi di tutti
e ad esaminare la zona religiosamente
la CIA - o è il KGB?
che ha commesso innumerevoli crimini contro l'umanità
sempre con questa eventualità come scusa
per tutti gli abusi
commessi l'uno dopo l'altro
senza mai un indizio
guardate c'è un'altra finestra lassù,
al 104° piano
un'altra chiave
un'altra porta

letterale al 10%
al 90% metafora
tremila poesie travestite da persone
in una giornata quasi perfetta
dovrebbero essere qualcosa di più
che pedine nella sacra rappresentazione di qualche stronzo
così adesso tocca a voi e tocca a me
fare in modo che non siano morte invano.
Shhhhh...... ascolta piccola, lo senti il treno?"

venerdì 18 luglio 2008

Perline

Una ad una, si sono fatte infilare lungo il filo di rame.

Rosa alcune, gialle altre, nere, verdi.

Si sono ammassate su quel filo, creando un ordine armonico dal caos della scatoletta dove prima si trovavano.

Ora fanno parte di un piccolo albero colorato.

È stato facile. Qualche ora di pazienza, un paio di film per farmi compagna.


Ogni vita è composta di perline colorate. Si spera sempre che quelle nere siano poche, quelle rosa, gialle, verdi ed azzurre tante. Una o due viola. Qualcuno le preferirebbe tutte bianche.

Arriviamo quel punto della nostra vita in cui però, filo di rame in mano, non sappiamo cavarne un alberello, una spilletta, un fiore.

Non sappiamo dare un senso a tutto quello che è accaduto, scegliere tra i vari colori per dare una priorità che sembra necessaria.

Fuori il vento soffia forte, spinge la finestra, la apre, sposta perle e carte.

Un tarocco scivola a terra. La Morte.

È tempo di cambiare, e noi non sappiamo dove andare.

Non sappiamo nemmeno dove il Fuori voglia andare.

Ci sediamo, piangendo e guardando il vuoto.

Qualcuno riesce a farlo fino all'ultimo giorno della sua vita.


Un alberello non è un solo filo di rame.

Molte perle, molti fili.

Ogni tanto qualcuno si spezza, mentre ne chiudiamo le anse.

A volte qualcuno spicca più degli altri, per la sua armonia.

Anche se molti alberelli sono ammassi caotici.

A volte un rametto non è stato chiuso a dovere, ed alla prima pioggia, le perline cadono una dopo l'altra a terra. E nessuno le raccoglierà più.

Si perderanno nel fango, nell'erba, qualche uccellino le ingoierà.


Sono due ore che aspetto, filo nella destra, due perline rosa nella sinistra.

Quelle nere hanno trovato il loro giusto posto, quelle gialle e quelle azzurre di recente si sono diradate.

E queste due, attendono fredde di essere appese ad un ricordo.

domenica 1 giugno 2008

Rollercoaster - Gay life -

Non c'è spazio per noi, ragazze.

Non c'è spazio per le nostre scelte, per i nostri piccoli passetti.

Aspettando Dior moriremo dietro quei piccoli bicchieri di Martini, e no, sai una cosa, non so dove andare.

Ora ho quarant'anni, e sai cosa penso?

Che non sia cambiato niente.

Quando ne avevo venti, stavo di merda uguale.

Solo avevo abbastanza forza da nasconderlo.

Cosa voglio ora?

Uscire da tutto questo.

È tanto cool.

Ed è tanto caldo.

Ho bisogno di un poco di sano sesso.

Ferma la tua mano sale lungo la mia schiena.

Forse qualche scorciatoia verso il Paradiso la conosco ancora...

Forse posso dirti come non perderti.

E poi, quando il succo del tuo Amore sarà sul mio petto, sulla mia faccia, sai dirmi cosa sarà di noi?

Non ho ancora conosciuto il Noi.

Di certo, si è nascosto bene nelle pieghe delle mie paure.

Ed ora?

Posso dire di non averne?

No.

Però ho imparato a versare il contenuto di una bottiglia dentro la gola del lavandino, se serve.

Non basta?

E allora, che dire del passato?

Che forse, ho amato due fantasmi, sostituendone le figure come matrioske difettose, dai lati che non combaciavano?

Ho chiuso gli occhi, nascondendo la realtà.

Nessuno è mai esistito.

Ho cancellato un anno di vita, un anno di vittorie mancate all'ombra di un fantasma poco caldo.

Ieri sera, incontrarlo è stato liberatorio.

Non ti ho mai amato, pensavo solo di amare la tua immagine.

Il mio cuore gela un poco ma apre le sue mani al cielo.

Aspettando un Dio che non c'è. Se non nel mio Long Island.

Pronunciato Lng Ailland.

Un poco come ho pronunciato “Francesco” come “Simone”.

Un poco di morte in regalo.

Per farmi capire dalla mia prossima elucubrazione onanistica.

In attesa di un riscatto.

Siamo tutti caduti così in basso, da vedere gli altri un passo più sotto della realtà.

Il paradosso di Achille e la Tartaruga.


Non c'è spazio per noi, ragazze.

Non credo lo vendano su E-bay.

Nel caso, fatami sapere.

Ho un poco di cuore in procinto di marcire.

martedì 20 maggio 2008

I Know Where It's At

It's just a Bootie Call...
è dal lontano '98 che ascolto questa canzone.
Dieci anni.
Ero seduto sulla mia sdraio nel sole di luglio, dopo aver richiesto alla nonna la cassetta delle Spice, e quella delle All Saints.
Prendevo il sole, ed intanto calcolavo i minuti per potermi fare una cassettina perfetta, con le registrazioni dalla radio e qualche traccia "intera" di quelle cassettine.
Lavoravo ore su una compilation, poi la mettevo nel walkman, rubavo le batterie a papà ed andavo nella Valle vicino a casa.
Mi arrampicavo sulle rocce umide, a volte cadevo nelle pozze che non volevano saperne di sparire, perchè a loro, del sole, non importava nulla.
Mettevo la mano in quell'acqua, cosciente che di quel gesto allora non me ne sarebbe fregato nulla, ma che mi avrebbe salvato qualche lustro dopo.
E poi, potevo cantare.
Cantavo fino a non avere voce il giorno dopo, ad evitare spiegazioni.
Cantavo ed urlavo la mia paura.
Paura della diversità che usciva.
Dell'incapacità di farmi capire.
Del non capire me stesso.
Delle rare volte in cui mi sentivo diverso dalla nullità, perchè sono sempre stato uno sfigato.
Cantavo dei pianti, e della sessualità.
Il mio sesso bruciava e non ha trovato mai uno sfogo, fino ai vent'anni.
Fino a vent'anni non sono venuto, perchè non capivo.
Se non capisco, affondo.
Ed ora capisco fin troppo bene, ed affondo benissimo.
Vedo le ombre dei miei rapporti.
Le mani che non mi toccano, gli amici che non sanno sostenermi.
Ricordo malamente le voci che mi narrano di chi fosse Borsellino, quando era già per me passato.
Di come la morte di Biagi fosse oscurata dalla mia prima canna.
Ora capisco e vorrei poter morire, ora, ma non ho tanto coraggio.
Quello che non so dire è la base di chi non può parlare.
Prima c'era la morte di Pecorelli, ora basta l'Editto Bulgaro.
E vedo Santoro e Travaglio allontanati dalla tv di Stato.
Quella che pago ogni anno perchè possa sperare in una difesa.
Vedo gli attacchi a Rai Tre.
Vedo quello che succede a Verona, le ronde di Firenze.
Quello che è successo ai due trans a Roma.
Carico il mio mp3 di canzoni festose, di "Wow" di" Gimme More"e "4 Minutes",
Ma la mente non si ferma e grida.
E non so più cantare.
Nè piangere.
Bevo.
E non parlerò dei tempi bui che ci aspettano.


Mi manca "Wannabe"...

venerdì 16 maggio 2008

martedì 13 maggio 2008

Rehab

Anche io ho bisogno di andare in Rehab.

Devo disintossicarmi da alcool e morte.

Missà che a forza di scoparci, mi sono lussato le cosce.

Perché sopra ci sta sempre lei...

Non sono un granché bravo a muovermi, tra i compromessi ed i silenzi concordati tra bipedi malpensanti.

Tra amici non si parla della paura della vita? Delle tue colpe?

Morirò senza sapere quello che gli altri pensano realmente di me, vero?

Che cosa ingrata.

Allora, non chiamatemi più “amico”.


Forse si, andrò con Ami e Brit in Rehab, ognuno nella sua stanza, a discutere da soli a voce alta davanti ad un crocefisso dei massimi sistemi.

Siamo tutti preparati per salvare il giardino del vicino!

Piccoli eroi di tutti i giorni, senza un fiore nel nostro orto.

Le disgrazie sanno attendere prima di coglierci.

E spesso, lo fanno quando diamo loro le spalle.

Sorridi ora, alla tua immagine.

Sei tra il pubblico di “Amici”?

Cavoli, sei riuscito a dire la tua... non mi dire, Maria ti ha dato la parola.

Ti ha dato la parola.

Perché, prima non l'avevi mai posseduta?

Serve un moderno Prometeo da Peep Show da finocchi repressi per averla?

Allora te la offro anche io.

Ma voglio sentire la tua, di voce.

Non quella di chi ti ha istruito, cresciuto, violato.

Diremo solo quello che non viene dai pensieri degli altri.

Abbiamo tutto il tempo.

Per questo, sarà un discorso monotono, temo.

Per lo meno, fino al nostro

- See you soon.-

Goodbye my lover, goodbye my friends...