lunedì 28 luglio 2008



Probabilmente sarà un post banale, noioso, scontato.
La mia esperienza bergamasca sta per concludersi, muovendosi lungo un unico filo conduttore: la paura.
Non la mia, per una volta, ma quella di chi ancora vive qui.
Tutti hanno paura del Grande Mostro, del Grande Ignoto, dell' Altro.
La gente teme l'Altro in ogni sua forma.
Alle elezioni pensavo che la vittoria della Lega in queste zone fosse legata all'idea del Federalismo.
Avevo lasciato una comunità sempre più ricca, sempre più materialista alle mie spalle.
Una richiesta di autonomia economica mi sembrava anche comprensibile.
Dopo 4 anni la gente è regredita ad uno stato di beligeranza costante contro il diverso da se.
Ovunque sono stato in questi 8 giorni, a casa, dai nonni, al ristorante, dai vicini, tutto è stato uno sparare a salve sull'immigrato.
Quel voto è stato dato contro il diverso da se.
Ogni reato che è stato commesso, o, peggio, potenzialmente commesso ( la guerra preventiva di Bush fa scuola ) ha sempre l'impronta di un immigrato.
E se anche fosse vero, se la rapina al piccolo ristorante fosse stata commessa da due stranieri, non sono stati Tizio e Caio, oppure, “dei marocchini”.
Per tutta la settimana sono stati “I marocchini”.
Come se dietro le mani di quelle due e tre persone che hanno commesso il crimine ci fossero le braccia di un intero popolo.
Come se, per il crimine di mio zio in Romania, tutti noi italiani fossimo colpevoli.
Logicamente , in tal caso, si parla sempre di due pesi e due misure.

Mi sono sentito chiedere quanti crimini succedano nella mia Firenze.
Se non ho paura ad uscirci la sera.
Se non odio essere fermato ogni due secondi dai nerini che vendono calzette ed accendini.
Se non mi infastidiscono i Rom con il loro modo di fare.
Non posso rispondere, sarò codardo, ma non capirebbero.
Non hanno conosciuto quel ragazzo senegalese che mi ha aiutato con le sporte della spesa, quella zingara che mi ha chiesto informazioni dandomi del lei, quel camerunense che con fare tranquillo mi ha chiesto, in un momento di tristezza, se stessi male per colpa del mio ragazzo.
Una frase che non sentirò mai nemmeno dai miei genitori.

Non vogliamo ammettere le nostre colpe in una crisi economica, la responsabilità dei nostri silenzi nella mala politica, le nostre furberie quotidiane, lo stato di abbandono in cui la generazione che ora comanda ha lasciato noi giovani. Almeno una volta di diceva “ Governo ladro!”.
Ora tutto va male, ed è colpa di Muhamed.

La Lombardia sta raggiungendo un record poco piacevole, quello delle persone sole.
Si parla del 23% della popolazione regionale sopra i 65, e di più della metà,abbandaonata a se stessa.
Potremmo rivolgere un saluto, una mattina, ed avere per noi tutto un mondo che non vedremo mai.
Ma , come sempre, prenderemo la nostra strada per il parco, ed, ad occhi chiusi, pensermo a tutto quello che è stato nel nostro passato.

sabato 26 luglio 2008

Ashes and Wine

Qualcosa avrò pur fatto, no?

Mi guardo allo specchio, e passo le dita sulla pelle, un poco più secca.

Osservo le pieghe attorno alla bocca, pensando a quelle di mio nonno.

Gli occhi arrossati da un'altra notte insonne.

Lo sguardo che non riconosco.

Di cosa ho paura?

Quali ombre alle mie spalle? Ne vedo le lunghe dita afferrarmi, portarmi dietro il muro, in un mondo di attese.

Il cemento, l'intonaco affondano nei polmoni, nelle pupille corre l'acqua stantia, sui piedi blatte, vive e morte, mi indicano lo scorrere del mondo, anche senza me.

Statico mi chiedo, cosa ne ho fatto di tutto questo tempo, di questi anni, di un'anima imprigionata...

Da uno a dieci, quanto sono morto?


Ho mai considerato possibile delegare tutta la mia felicità all'amore?

Ma in tutto questo vuoto, c'è spazio giusto per una cosa...

Per un ballo triste, le mie braccia attorno al fantasma di ciò che ero.

E l'ultimo passo è stato il primo.



sabato 19 luglio 2008

Self Evident


Questo insieme lunghissimo di parole, è una poesia tradotta in italiano della mia sempre più amata Ani DiFranco...

"Sì, noi tutti siamo solo poesie
al 90% metafore
con una povertà di senso
che si avvicina all'iperdistillazione
eppure c'è stato un tempo in cui eravamo raggi di luna
e scivolavamo giù per il collo di una giraffa
sì, scivolavamo per quel lungo corridoio
nonostante quello che dice l'impianto voce
sì, scivolavamo per quelle lunghe scale
con il whiskey dell'eternità fermentato e distillato per diciotto minuti
che ci bruciava in gola
giù per il corridoio
giù per le scale
di un edificio così alto che resterà lì per sempre
sì fa parte di una coppia
là sulla prua dell'arca di Noè
la coppia più prestigiosa che si rimandava la palla
contro un cielo perfettamente azzurro
in quel mattino sublime
con la sua bellezza da estate indiana
il giorno in cui l'America cadde in ginocchio
dopo aver camminato impettita per un secolo
senza mai dire grazie o per favore

e lo shock fu subsonico
e il fumo assordante
perché eravamo tutti al lavoro in orario quel giorno
e tutti ci siamo imbarcati su quel volo
e poi mentre le fiamme infuriavano
ci siamo tutti arrampicati sul davanzale
e poi ci siamo presi per mano,
tutti e ci siamo lanciati nel cielo
e ogni distretto ha alzato gli occhi
quando ha sentito il primo scoppio
e ogni stupido film d'azione di colpo è sembrato superato
e quell'esodo di persone e automobili
assomigliava alla guerra
più di ogni altra cosa che abbia visto finora
finora, per ora

così fiero e ingegnoso
un fantasma poetico riapparso dopo due secoli
che ogni commentatore idiota si trovò a balbettare
"oh mio dio" e "è incredibile"
nient'altro per ore e ore
e voglio dirvi una cosa, già che ci siamo:
potete tenervi il Pentagono
tenervi la propaganda
tenervi ogni singola televisione
che ha tentato di convincermi
ad aderire al piano di qualche liceale fanatico
per orchestrare la ritorsione
proprio mentre il fumo bluastro e tossico
del nostro esempio di ritorsione
sta ancora ammorbando l'aria
e abbiamo cenere sulle scarpe
e cenere nei capelli
un mantello di sottile di limo
da Hell's Kitchen a Brooklyn
e le strade sono piene di storie
di svolte impreviste e ritardi provvidenziali
e ogni bar aperto
si riempie fino al soffitto di leggende di disastri evitati per un soffio
e il whiskey scorre come mai era successo
mentre in tutto il paese la gente scuote la testa e si versa da bere.

E allora facciamo un brindisi
a tutti quelli che vivono in Palestina
Afghanistan Iraq El Salvador
un brindisi a tutti quelli che vivono nella riserva di Pine Ridge
sotto lo sguardo gelido e pietrificato
del Mont Rushmore
un brindisi a tutti quei medici
e quelle infermiere
che ogni giorno permettono alle donne di scegliere
che affrontano una minaccia grande come Oklahoma City
solo per ascoltare la voce di una ragazza
un brindisi a tutti i condannati a morte
che in questo momento aspettano la loro ghigliottina
soffocati dal terrore
e possono fuggire solo in se stessi
per trovare la pace in forma di sogno

perché portateci via le nostre playstation
e siamo una nazione da terzo mondo
dominata da una specie di erede blasonato
che ha usurpato lo studio ovale
e quelle elezioni fasulle
voglio dire,
che non ci vuole certo un metereologo
per guardare fuori che tempo fa
Jeb aveva detto che avrebbe consegnato la Florida, gente,
e altroché se ci è riuscito
e queste sono le nostre verità lampanti
1. George Bush non è presidente
2. l'America non è una vera democrazia
3. i media non mi prendono in giro
perché io sono una poesia
attenta all'iperdistillazione
non ho posto per una bugia così prolissa
abbraccio con uno sguardo
tutta la mia famiglia di esseri umani
e sollevo il bicchiere in un brindisi
che sia il nostro ultimo sorso
di carburanti fossili
giuriamo di farla finita con questo veleno
di disperdere gli sciami di aerei pendolari
e ritrovare quel biglietto del treno
che avevamo perduto
perché c'è stato un tempo in cui la ferrovia costeggiava il fiume
e curiosava in tutti i cortili
e c'era il bucato steso
e graffiti che ammicavano da ponti e muri di mattoni
giravamo tra montagne e vallate
sotto le stelle
io sogno di viaggiare come Duke Ellington
nella mia carrozza privata
sogno di aspettare
sulle alte panchine di legno biondo
in una stazione centrale inondata di grazia
e poi in piedi sul binario
sentire l'aria sul viso
restituire alla notte il suo fischio lontano
restituire alle tenebre l'anima
mandare affanculo una volta per tutte le grandi compagnie petrolifere
e imparare da capo il rock'n'roll

sì, gli esempi ci circondano
e ci aspetta un cambiamento
e dunque è ora di esaminare le macerie
ripulire le strade e rinfrescare l'aria
cosringere il governo
a tirar fuori il suo grosso uccello dalla sabbia del deserto di qualcun altro
rinfilarselo nei pantaloni
e farla finita con gli slogan ipocriti di libertà duratura
perché quando quell'unico telefono ha chiamato
nel 2001 alle nove e dieci il 911
che è il numero che tutti abbiamo chiamato quando quell'unico telefono ha squillato
dietro la parete dalla nostra scrivania
fino al corridoio
lungo le scale interminabili
di un edificio così alto
che il mondo intero si è voltato
solo per vederlo cadere.

E già che ci siamo vi ricordate la prima volta?
la bomba? il camion?
il parcheggio sotterraneo?
la principessa che non si era neppure accorta del pisello?
vi ricordate come ci scherzavamo sopra?
riuscite ad immaginare quanti bicchieri di carta dovrebbero cambiare decorazione
inseguendo l'incredibile cambiamento dello skyline di New York?
era solo uno scherzo, naturalmente
solo uno scherzo
ed è successo solo pochi anni fa
e allora che l'inchiesta dimostri
che l'FBI era coinvolta nel caso
che la trama era evidente e sotto gli occhi di tutti
e ad esaminare la zona religiosamente
la CIA - o è il KGB?
che ha commesso innumerevoli crimini contro l'umanità
sempre con questa eventualità come scusa
per tutti gli abusi
commessi l'uno dopo l'altro
senza mai un indizio
guardate c'è un'altra finestra lassù,
al 104° piano
un'altra chiave
un'altra porta

letterale al 10%
al 90% metafora
tremila poesie travestite da persone
in una giornata quasi perfetta
dovrebbero essere qualcosa di più
che pedine nella sacra rappresentazione di qualche stronzo
così adesso tocca a voi e tocca a me
fare in modo che non siano morte invano.
Shhhhh...... ascolta piccola, lo senti il treno?"

venerdì 18 luglio 2008

Perline

Una ad una, si sono fatte infilare lungo il filo di rame.

Rosa alcune, gialle altre, nere, verdi.

Si sono ammassate su quel filo, creando un ordine armonico dal caos della scatoletta dove prima si trovavano.

Ora fanno parte di un piccolo albero colorato.

È stato facile. Qualche ora di pazienza, un paio di film per farmi compagna.


Ogni vita è composta di perline colorate. Si spera sempre che quelle nere siano poche, quelle rosa, gialle, verdi ed azzurre tante. Una o due viola. Qualcuno le preferirebbe tutte bianche.

Arriviamo quel punto della nostra vita in cui però, filo di rame in mano, non sappiamo cavarne un alberello, una spilletta, un fiore.

Non sappiamo dare un senso a tutto quello che è accaduto, scegliere tra i vari colori per dare una priorità che sembra necessaria.

Fuori il vento soffia forte, spinge la finestra, la apre, sposta perle e carte.

Un tarocco scivola a terra. La Morte.

È tempo di cambiare, e noi non sappiamo dove andare.

Non sappiamo nemmeno dove il Fuori voglia andare.

Ci sediamo, piangendo e guardando il vuoto.

Qualcuno riesce a farlo fino all'ultimo giorno della sua vita.


Un alberello non è un solo filo di rame.

Molte perle, molti fili.

Ogni tanto qualcuno si spezza, mentre ne chiudiamo le anse.

A volte qualcuno spicca più degli altri, per la sua armonia.

Anche se molti alberelli sono ammassi caotici.

A volte un rametto non è stato chiuso a dovere, ed alla prima pioggia, le perline cadono una dopo l'altra a terra. E nessuno le raccoglierà più.

Si perderanno nel fango, nell'erba, qualche uccellino le ingoierà.


Sono due ore che aspetto, filo nella destra, due perline rosa nella sinistra.

Quelle nere hanno trovato il loro giusto posto, quelle gialle e quelle azzurre di recente si sono diradate.

E queste due, attendono fredde di essere appese ad un ricordo.